SICCITA’ E MIGRAZIONI

                          Pensiero svelto

Da qualche anno mi diverto a coltivare un orto, esercizio salutare che continuamente mi mette a confronto con tempi e bisogni della natura  che sono difficili da interpretare, comincio a capirli da poco consapevole anche che: “… Né chi pianta né che irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere”;  per questo ed anche per i modesti risultati rispetto a quelli dei miei vicini  molto più bravi, definisco il mio orto: sperimentale, didattico contemplativo.

Proprio in questi giorni, “contemplando”, ho notato con stupore l’andirivieni di api assetate al boccaglio della canna d’irrigazione, arrivavano a turno, bevevano e si allontanavano; non mi era mai capitato di vederle così presto.

La sera rientrando ho capito il perché; mi sono infatti ricordato che tutti i rigagnoli attorno all’orto sono asciutti e le api, come gli uccelli, i leprottini e altre creature lì intorno, per dissetarsi e sopravvivere devono spostarsi.

La stessa stranezza mi è stata segnalata telefonicamente la sera dall’amico che vive in campagna, anche lui incuriosito da una presenza  insolitamente numerosa di anatre lungo il fiume che passa appena fuori paese; la spiegazione gli è arrivata dal cacciatore che gli ha segnalato che tutte le rogge della zona sono e da molto tempo drammaticamente asciutte.

Cosa fanno gli animali quando arrischiano di morire di sete?

Cercano l’acqua, migrano.

Avrà l’uomo pari intelligenza, pari spirito di sopravvivenza?

Da condannare se cerca acqua?

Che Dio faccia piovere.

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