SI VIS PACEM

Questo venerdì  in San Pietro c’è stata una veglia di preghiera per la pace: recita del santo rosario presieduta da papa Francesco trasmesso in diretta da canale 28; assenti le istituzioni.

Se è comprensibile che le reti nazionali non diano la diretta, meno comprensibile lo scarso risalto dedicato, ma ancor più incomprensibile e irragionevole la decisione del tg1 delle ore 8 di sabato di trasmettere uno speciale guerra invadendo l’inizio del fine settimana delle famiglie con immagini delle potenti armi israeliane che seminano morte e dolore fra i civili e quelle della cosiddetta “Metropolitana di Gaza”,  cunicolo di terroristi. 

La pelle dei bruchi prende il colore della foglia di cui si cibano, noi, riferito all’informazione, alle notizie, ci cibiamo, meglio dire ci cibano con quelle che di volta in volta ritengono opportuno.

Si vis pacem spegniamo il televisore quando necessarie, dovute informazioni cedono, per audience, a veri godimenti di guerra: inviati speciali, uomini e donne in enfasi: guarda son qui dove sono appena stati uccisi…guarda son qui il palazzo è appena crollato… mettiamo a tacere anche … opinionisti che si arricchiscono con bla bla bla macchiati di sangue.

Si vis pacem dobbiamo ragionare come quella contadina ucraina di cui vi ho già parlato che, dovendo pronunciarsi su una pace con compromissioni per la sua patria, rispose al cronista …meglio una brutta pace che la guerra.

Lei è  un eroe, lei è la vera inviata di pace, lei vera stratega che ha capito che un lembo di terra è di tutti e di nessuno.

Cibiamoci quindi di pace, teniamo azzurro come il cielo il colore della nostra pelle.

SI VIS PACEM …

Se le parole avessero suono sentireste le mie grida di pianto!

Piango per i morti israeliani, per la barbara carneficina che ricorda le più cruenti pagine della bibbia, per i bambini sgozzati da “Erode”, piango per i bambini palestinesi sepolti sotto le loro povere case dalle bombe israeliane, soffro per la fame, la sete, gli stenti che i vivi dovranno subire, piango per i civili ucraini che da troppo tempo perdono la vita sotto attacchi di droni, piango per i giovani soldati russi uccisi in scontri militari.

Grido contro i potenti governi mondiali tempestivi nell’inviare armi e ancora armi, anche atomiche, protesto perché sottraggono risorse, dal valore inimmaginabile, ai reali, quotidiani bisogni dei loro popoli.

Urlo basta contro l’obsoleta, stolta, guerrafondaia locuzione latina:

“Si vis pacem para bellum

perché i due termini sono inconciliabili.  

“SI VIS PACEM DELES ARMA”

Se vuoi la pace distruggi le armi, questa è la sola strada: il disarmo, riprendere gli sporadici tentativi del passato, iniziare un “disarmante” lavoro diplomatico, paziente, comprensivo capace di convincere menti politiche e non solo, ad adoperarsi per la pace vera fra i popoli, seppellendo una volta per tutte la nefasta, menzognera tentazione delle armi. 

Quanto il tanto vale il poco

Quanto il tanto vale il poco

il minuto quanto il grande 

l’ora passata in un podere

pari è a quella trascorsa

contemplando un’aiuola

l’orizzonte visto dal cielo

quello di là dalla finestra

compiace allo stesso modo

una collana di conchiglie

o un collier di diamanti.

Valentia generosa della vita 

di tutti soddisfa le aspettative 

arguta così com’è nell’assegnare

a ciascuno la propria misura. 

CHI CUCINA PIU’?

Matematico: al rientro dalle vacanze c’è sempre un elettrodomestico rotto, quest’anno la lava piatti, pazienza…libretto della Bosch mi danno il numero per trovare l’assistenza più vicina, lo compongo … buongiorno signore le rispondo dalla Spagna… dalla Spagna!?… ieri chiamavo il signor Augusto che aveva bottega nel quartiere e arrivava il giorno stesso; nello specifico, l’attesa  ahimè è stata di una settimana.

Questo preambolo per dire come continui a cambiarci la vita sotto il naso, anche negli aspetti più quotidiani e ciò che sta succedendo è davvero epocale, crollano miti, certezze che erano inossidabili come quello del… “tutti a tavola a mezzogiorno”.

Il “preparare da mangiare” era compito impegnativo, vitale e quotidiano e appena ieri il fabbisogno alimentare arrivava dalla stalla col latte, dal maiale e dal pollaio per la carne e dall’orto per le verdure, sostituiti oramai e da lungo tempo dagli scaffali del supermercato.

Il passo successivo è arrivato poco tempo dopo: “non cucinare più ci penso io” ed ecco golosissima gastronomia dentro piatti usa e getta … ”fatto da noi per voi, come a casa”;  la proposta però ha un limite perché devi andare lì, arrivare al banco e in tempi frenetici tu quel tempo non ce l’hai,  il mercato coglie la criticità e ti dice: ”nessun problema arriviamo noi da te”.

Arrivano così schiere di “rider” delle  società di food delivery,  pagati a consegna o ad ora, targati   Just Eat, Deliveroo, Glovo,  invadono le strade della città per la consegna del pasto  a domicilio: pizza o sushi o hot dog; ma del rider si servono oramai anche i ristoranti  e devo dire che provo cruccio nel vedere questi precari lavoratori muoversi a tutte le ore nel traffico cittadino non certo raccomandabile per le bici e mi prende anche sofferenza nel pensare alle porte che si aprono per ricevere, spacchettare, portare in tavola la cena che di sicuro non ha la gioia antica del …a tavola, scolo la pasta.

Comprensibile e condivisibile la scelta di delegare ad altri il “preparare da mangiare” perché la realtà di oggi presenta famiglie dove padre e madre sono fuori tutto il giorno per lavoro, arrivano a casa trafelati, magari più tardi del previsto e il tempo per mettersi ai fornelli proprio non c’è; la nostalgia però dello “spadellare” di un tempo rimane perché ricorda una vita lenta, più ordinata e al mercato non sfugge nemmeno questa istanza ed ecco: “L’home restaurant”.

 “L’home restaurant” è l’ultima tendenza in fatto di ristorazione alla quale la legge dà limite di 500 coperti l’anno e fatturati di 5 mila euro; alternativo al ristorante classico nasce dalla voglia di uomini, donne, cuochi per diletto, di mettersi alla prova avviando un’attività dove non ci sono investimenti perché la location è la propria abitazione, la tavola è imbandita con i servizi e le tovaglie della nonna e sui fornelli di casa si cucinano le proprie specialità che di solito sono piatti tipici regionali preferibilmente con prodotti a chilometro zero. 

 L’ho sperimentato con amici nel periodo delle vacanze al “Mre” nel verde e nella pace di Mereta, piccola frazione dell’entroterra ligure,  dove la signora Eleonora ha iniziato la sua avventura e ci ha accolti davvero quasi come fossimo parenti. 

Conquistato intanto per la location davvero bucolica resa magica dalle abilità coreografiche della

titolare che ha creato suggestivi angoli di ceppi di legna, di candidi teli a garantire riservatezza,  candele, tralci di vite su preziose tovaglie, lanterne, brocche di un tempo, paesaggi in cornici datate, e non da meno mi han deliziato i piatti serviti con cura: assaggi di salumi e formaggi locali accompagnati da marmellata di rose, vitello tonnato, frittate, poi ravioli di carne  al “u tuccu zeneize” ragù genovese fatto con un unico pezzo di carne, un tocco appunto, cotto a lungo tempo in poca salsa di pomodoro, poi coniglio alla ligure con olive e pinoli, vini delle langhe, “bunet” per dessert, un budino tipico piemontese e gran finale con pesche alla medievale cotte nel vino e spezie.

Verrebbe da dire come in un buon  ristorante se non fosse che all’ ”home” abbiamo cenato sotto il portico, al lume di candela ma soprattutto, e questa è la differenza, come fossimo davvero a casa dalla zia che bisogna allertare qualche giorno prima del nostro arrivo per darle tempo di decidere cosa preparare, zia che non ci fa fretta, che chiacchiera con noi del più e del meno, che ti concede pause, che ti chiede se ne vuoi ancora, ti serve il caffè, l’amaro continuando a stare lì con te.

Il piacevole ricordo mi ha un po’ allontanato dal tema generale, di sicuro riproverò l’esperienza anche in città e dovessi ritrovare la stessa atmosfera, seppur in contesto diverso, avrei conferma che questa ultima nuova formula di ristorazione ha il merito di farci rivivere quell’atmosfera di “tavola” serena, conviviale, famigliare, rilassata, affettuosa, capace di preservare abitudini e legami solidi  attorno ai quali si cementava la famiglia.